A
tutti i Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi del mondo cattolico
che hanno grazia e comunione con la Sede Apostolica.
Venerabili
Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
Opportunamente
è concesso al popolo cristiano di celebrare nel giro di pochi anni la
memoria di due uomini che, chiamati in cielo all’immortale corona della
santità, lasciarono in retaggio sulla terra un illustre stuolo di seguaci,
quasi perpetui germogli delle loro virtù. Infatti, dopo le secolari feste
in onore di Benedetto, padre e legislatore dei monaci in Occidente, ecco
prossima, non dissimile, l’occasione di rendere pubbliche onoranze a Francesco
d’Assisi, compiendosi il settimo centenario della sua nascita. In tale
circostanza abbiamo ragione di ravvisare una benigna disposizione della
provvidenza divina. Effettivamente, porgendo alla venerazione delle genti
il giorno natalizio di così eccelsi Patriarchi, sembra che Dio voglia
ridestare il ricordo dei loro altissimi meriti e fare intendere ad ognuno
che gli Ordini religiosi da essi fondati non meritavano di essere tanto
maltrattati, specialmente in quei paesi nei quali lo sviluppo della civiltà
e della fama crebbe in forza del loro impegno e del loro zelo operoso.
Noi certo
nutriamo fiducia che codeste solenni commemorazioni non abbiano a passare
infruttuose per il popolo cristiano, che a buon diritto considerò sempre
come amici gli appartenenti agli Ordini religiosi, e come già rese tributo
di grande devozione e riconoscenza al nome di Benedetto, così ora gareggerà
nell’apprestare pompose feste e molteplici omaggi alla memoria di Francesco.
E codesta nobile gara di affetto e di riverenza non sarà ristretta alla
regione nella quale il santissimo uomo vide la luce, o alle vicine contrade
consacrate dalla sua presenza, ma largamente si estenderà ad ogni parte
del mondo dove risuona il nome di Francesco o fioriscono le sue istituzioni.
Noi certamente
approviamo più che mai questo ardore di animi per uno scopo tanto valido;
Noi, che fin dall’adolescenza Ci abituammo ad ammirare e ad onorare di
particolare devozione Francesco d’Assisi, Ci gloriamo d’essere iscritti
alla famiglia Francescana; più di una volta per devozione salimmo gioiosi
e veloci il sacro monte dell’Alvernia, dove ad ogni pie’ sospinto Ci si
affacciava alla mente la figura del Santo: quella solitudine così ricca
di memorie teneva come assorto il Nostro spirito, che silenzioso lo contemplava.
Ma, per
lodevole che sia codesto entusiasmo, da solo non basta. Infatti, bisogna
ben persuadersene, gli onori che si preparano a San Francesco torneranno
particolarmente accetti a lui, cui sono indirizzati, se riusciranno fruttuosi
a chi li rende. Ora il più sostanziale e non passeggero profitto consiste
in questo, che gli uomini prendano qualche tratto di somiglianza dalla
sovrana virtù di colui che ammirano e procurino di rendersi migliori imitandolo.
Se, con l’aiuto di Dio, faranno ciò, certamente sarebbe stato trovato
un opportuno ed efficace rimedio ai mali presenti. Perciò vogliamo rivolgerci
a Voi con questa Lettera, Venerabili Fratelli, non solo per rendere pubblica
testimonianza della Nostra devozione a Francesco, ma per eccitare altresì
il Vostro zelo a promuovere insieme con Noi la salute dell’umano consorzio,
mercé il rimedio che abbiamo indicato.
Gesù
Cristo, redentore del genere umano, è la perenne ed inesausta sorgente
di tutti i beni che ci vengono dalla infinita misericordia divina, talché
Egli medesimo, che salvò una volta l’umanità, la viene salvando in tutti
i secoli: "Infatti non esiste sotto il cielo altro nome dato agli
uomini, mercé il quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At
4,12). Pertanto, se per effetto di debolezza o di colpa il genere umano
si veda nuovamente caduto così in basso da aver bisogno di un aiuto poderoso
che lo sollevi, è necessario che ricorra a Gesù Cristo, tenendo per certo
che è il più valido e più fidato rifugio. Infatti è così ampia e così
forte la sua divina virtù, che è in grado di far cessare ogni pericolo
e di sanare ogni male. Il rimedio verrà senza fallo solo che l’umana famiglia
sia ricondotta a professare la fede cristiana e ad osservarne i santi
precetti. In tali difficoltà, quando è maturo il momento segnato nei pietosi
consigli dell’Eterno, Dio ordinariamente suscita un uomo, non uno dei
tanti, ma sommo e straordinario, e a lui affida il compito di rendere
la salvezza alla società. Ora questo è quanto succedeva sullo scorcio
del secolo duodecimo e alquanto dopo, e l’artefice della grande opera
riparatrice fu Francesco.
Sono
abbastanza conosciuti quei tempi con le loro qualità e buone e cattive.
Profonda e robusta era la fede cattolica; infervorati dal sentimento religioso,
molti ritenevano bello salpare per la Palestina, risoluti a vincere o
a morire. Ciononostante i costumi erano oltremodo licenziosi e nulla si
era più necessario per gli uomini che ripristinare la vita cristiana.
Ora, parte principalissima della vita cristiana è lo spirito di sacrificio,
simboleggiato nella croce che ogni seguace di Cristo deve portare sulle
proprie spalle. Questo sacrificio comporta il distacco dalle cose sensibili,
il rigido controllo di se stessi, il sopportare con calma e pazienza le
avversità. Infine, signora e regina di tutte le virtù è la carità verso
Dio e il prossimo. La forza di essa è tale che allevia le molestie inseparabili
dall’adempimento del dovere: per quanto gravi siano gli affanni della
vita, essa sa renderli non solo sopportabili, ma addirittura soavi.
Di siffatte
virtù nel secolo duodecimo c’era grande scarsità, dato che troppi erano
attaccati perdutamente alle cose umane, o folleggiavano per smisurata
cupidigia di onori e di ricchezze, o conducevano una vita di lusso e lascivie.
La prepotenza di pochi dominava ad oppressione del misero e disprezzato
popolo minuto; e da colpe siffatte non andavano esenti neanche coloro
che, per dovere d’ufficio, avrebbero dovuto essere d’esempio agli altri.
A misura che la carità scemava, prevalevano le quotidiane perniciose passioni:
invidia, rivalità, odii, con tanta foga di ostilità, che ad ogni più piccolo
pretesto le città limitrofe si sfidavano in disastrose guerre, e i cittadini
di una stessa città barbaramente si combattevano gli uni contro gli altri.
Tale
il secolo in cui giunse Francesco. Egli però con mirabile semplicità e
pari costanza, con la parola e con l’esempio volle offrire agli sguardi
del mondo corrotto la schietta immagine della perfezione cristiana.
Infatti,
come padre Domenico di Guzman difendeva in quei tempi l’integrità della
dottrina cattolica, e con la luce della rivelazione fugava i pravi errori
dell’eresia, così Francesco, secondando l’impulso di Dio che lo guidava
a grandi imprese, riuscì a ricondurre molti cristiani alla virtù e a richiamare
persone da molto tempo deviate alla imitazione di Cristo. Certamente non
fu il caso che reco all’orecchio del giovane quelle sentenze del Vangelo:
"Non vogliate avere né oro, né argento, né danaro nelle vostre borse,
né bisacce per il viaggio, né due vesti, né scarpe, né bastone" (Mt
10,9-10). E: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai e dà
ai poveri... e vieni, e seguimi" (Mt 19,21). Accogliendo queste parole
come dette espressamente per lui, egli si spoglia di tutto, perfino degli
abiti, e sceglie la povertà come compagna e alleata per la vita futura;
sceglie quali fondamenti del suo Ordine quelle massime di perfezione che
con tanta decisione e generosità di cuore aveva abbracciato. Nello stesso
tempo, in mezzo alle voluttuose usanze e alle affettate delicatezze dei
suoi tempi, egli procede negletto e squallido nella persona; va mendicando
di porta in porta; e, ciò che molti stimano assolutamente amaro, non solo
sopporta gli scherzi della plebaglia, ma se ne alimenta con mirabile gioia.
Evidentemente aveva scelto la stoltezza della Croce di Cristo e l’aveva
apprezzata come sapienza assoluta; e avendone compreso il profondo ed
augusto mistero, vide e conobbe di non potere meglio collocare altrove
la propria gloria. Con l’amore della Croce entrò nel cuore di Francesco
un’ardente carità che lo spinse a propagare coraggiosamente il nome di
Cristo e ad esporsi per tale motivo anche con evidente pericolo della
vita. Con questo amore egli abbracciava tutti gli uomini; ma i più miserabili
e i più squallidi erano per lui i prediletti, in modo che sembrava porre
le sue particolari compiacenze appunto in quei miseri, che il mondo superbo
suole maggiormente respingere. In questo modo egli fu grandemente benemerito
di quella fraternità con la quale – restituita e perfezionata – Cristo
Signore raccolse il genere umano in una sola famiglia, sottoposta al potere
di un solo Dio, Padre comune di tutti.
Con il
corredo di tante virtù, e particolarmente con tale austerità di vita,
quest’uomo illibatissimo prese a formare se stesso, quanto gli fu possibile,
sul modello di Gesù Cristo. Ma un altro segno della particolare provvidenza
di Dio in ordine a Francesco sembra doversi ravvisare nelle speciali ragioni
di estrinseca somiglianza che egli ebbe col divin Redentore. Infatti,
come a Gesù, così a Francesco avvenne di nascere in una stalla, e di essere
posto pargoletto a giacere in terra su poca paglia proprio come Gesù.
In quel momento, come a completare la somiglianza, secondo quanto si narra,
armoniosi cori di Angeli e dolci armonie si diffusero per il cielo. E
come Cristo radunò intorno a sé gli Apostoli, così Francesco raccolse
alcuni discepoli che mandò poi per la terra a predicare la pace cristiana
e la salute eterna delle anime. Poverissimo, atrocemente beffeggiato,
ripudiato dai suoi, seguendo l’esempio di Gesù Cristo non volle per sé
alcuna cosa su cui posare il capo. Infine, come ultima nota di somiglianza,
nel monte dell’Alvernia, come in un suo Calvario, ricevute per via di
prodigio, sino allora inaudito, le sacre stimmate, fu nella sua carne
in certo modo crocifisso.
Ricordiamo
un avvenimento celebre non soltanto per la grandezza del miracolo, ma
anche quale testimonianza per i secoli. Mentre un giorno stava assorto
nella sublime contemplazione dei dolori di Cristo e, sitibondo di quelle
ineffabili amarezze, intimamente si univa al Redentore, ecco apparire
improvvisamente dal cielo un Angelo: come se da questi si fosse sprigionata
repentinamente una misteriosa forza, Francesco sentì trapassarsi le mani
e i piedi come da chiodi, ed aprirsi come da acuta lancia il costato.
Da quel momento gli rimase in cuore una fiamma di traboccante carità,
e nel corpo per tutto il resto della sua vita una viva ed autentica immagine
delle piaghe di Gesù Cristo.
Codeste
straordinarie manifestazioni, meritevoli di essere celebrate da un cantore
angelico anziché umano, rivelano abbastanza quale uomo fosse Francesco,
e quanto degno della missione di far rivivere in mezzo ai suoi contemporanei
i costumi cristiani. "Va’, e ripara la mia casa che crolla"
aveva detto a Francesco nella umile chiesuola di San Damiano una voce
sovrumana. Né meno meravigliosa fu la visione offerta al Pontefice Innocenzo
III, secondo la quale Francesco fu additato in atto di sostenere coi propri
omeri le vacillanti mura della Basilica Lateranense. Il significato di
tali portenti è evidente: indicavano chiaramente che Francesco sarebbe
stato in quei tempi non lieve presidio e sostegno per la Chiesa di Cristo.
Egli infatti diede subito inizio all’impresa.
Quei
dodici che furono i primi a seguirlo furono altresì il piccolo seme, che,
fecondato da Dio e benedetto dal Pontefice Massimo, fu visto in breve
tempo crescere in ricchissima messe. Ad essi, formati secondo gli esempi
di Cristo, Francesco assegna varie regioni d’Italia e d’Europa da evangelizzare,
e ne manda alcuni con precisi compiti anche in Africa. Senza alcun indugio
essi vanno: poveri, senza cultura, rozzi, essi osano tuttavia presentarsi
in pubblico; e sulle strade, per le piazze, senza alcuna preparazione
di luogo né pompa di eloquio richiamano le genti al disprezzo del mondo
e al pensiero dell’eternità. Incredibile il copioso frutto che coronò
le fatiche di quegli operai che sembravano così inetti! Infatti, le turbe
si affollavano intorno ad essi, avide di ascoltarli, e quindi, compunte
e pentite, si convertivano, dimenticavano le ingiurie ricevute e, spenti
i dissidi, tornavano a consigli di pace. È incredibile a dirsi con quale
trasporto degli animi, quasi spinta, la gente era rapita dietro Francesco.
Ovunque passava, si determinavano grandi assembramenti e spesso dai castelli
e dalle città più numerose tanti uomini indistintamente gli chiedevano
di essere ammessi alla professione della sua Regola.
Pertanto,
nel santissimo uomo nacque l’idea di fondare il Terzo Ordine che, senza
rompere i vincoli della famiglia e delle cose domestiche potesse accogliere
persone d’ogni condizione, di ogni età e dell’uno e dell’altro sesso.
Saggiamente egli lo volle regolato, non tanto con particolari statuti,
quanto con l’applicazione delle leggi stesse del Vangelo, delle quali
nessun cristiano ha motivo di sgomentarsi: cioè osservare i comandamenti
di Dio e della Chiesa; evitare fazioni e risse; nulla frodare; non brandire
armi, se non in difesa della religione e della patria; essere temperanti
nel vitto, modesti nel vestito; guardarsi dal lusso, fuggire le seduzioni
di balli e di spettacoli irreligiosi.
È facile
comprendere che da siffatta istituzione, salutare per se stessa e mirabilmente
opportuna in quei tempi, dovettero derivare grandissimi vantaggi. Di tale
opportunità giunge conferma dal fatto che altre associazioni somiglianti
germogliarono dalla famiglia Domenicana e da altri Ordini religiosi.
Molti,
di modeste condizioni e di altissimo rango, pieni di ardore e di zelo
correvano ad iscriversi al Terz’Ordine di San Francesco. Furono tra i
primi il re di Francia Luigi IX, e Sant’Elisabetta d’Ungheria: dietro
a questi vennero, con l’andare degli anni, molti Pontefici, Cardinali,
Vescovi, Re e Principi; tutti stimarono non sconveniente con la loro dignità
l’abito francescano.
I Terziari,
nel difendere la religione cattolica, diedero belle prove di pietà e di
forza, e se a motivo di queste virtù si attirarono l’ira dei tristi, ebbero
sempre di che consolarsi con il più onorevole e più desiderabile dei conforti:
l’approvazione dei savi e degli onesti. Addirittura Gregorio IX, Nostro
Predecessore, encomiandone pubblicamente la fede e il coraggio, non si
peritò di far loro scudo della propria autorità e di chiamarli, a grande
onore: "Milizia di Cristo, nuovi Maccabei". Né era immeritata
la lode. Infatti in quel gruppo di uomini operava un grande aiuto per
il pubblico benessere: essi, tenendo fisso lo sguardo alle virtù ed alle
leggi del loro fondatore, si adoperavano il più possibile di far rifiorire
in seno alle corrotte città i pregi della vita cristiana. Certo, grazie
all’opera ed all’esempio dei Terziari, si videro spesso estinte o mitigate
le discordie di parte, tolte di mano ai faziosi le armi, allontanate le
cagioni di litigi e di contese: procurati sollievi agl’indigenti e agli
abbandonati, frenata la lussuria, divoratrice delle sostanze e strumento
di corruzione. Conseguentemente la pace domestica e la tranquillità pubblica,
l’integrità dei costumi e la mansuetudine, il retto uso e la tutela della
proprietà, che sono i migliori elementi di civiltà e di benessere, rampollano,
come da propria radice dal Terz’Ordine: e se codesti beni non andarono
perduti, l’Europa deve esserne in gran parte riconoscente a Francesco.
Ma più
di ogni altro paese va debitrice a Francesco l’Italia, la quale, come
fu particolarmente teatro delle sue virtù, così ne sperimentò più che
mai i benèfici effetti.
In verità,
in tempi di oppressioni e di prepotenze, egli stendeva costantemente la
destra al debole e all’oppresso: e, ricco nella suprema povertà, non omise
mai di alleviare l’indigenza altrui, dimentico della propria.
Sul suo
labbro la nascente lingua italiana conobbe le prime espressioni; nei suoi
cantici popolari espresse quella forza di carità e di poesia che la dotta
posterità non ritenne indegni di ammirazione. Pensando a Francesco, il
genio italiano più qualificato trasse motivo d’ispirazione, tanto che
sommi artisti gareggiarono nel fissare le sue opere con pitture, sculture
ed intagli. L’Alighieri trovò in Francesco materia per i suoi versi più
forti e leggiadri; Cimabue e Giotto per le loro composizioni immortali,
degne delle luci del Parrasio; illustri architetti per grandiose opere
quali il sepolcro del Poverello o la Chiesa di Maria degli Angeli, che
è stata testimone di tanti miracoli. A questi santuari vengono pellegrini
da ogni parte ad onorare l’Assisiate padre dei poveri, al quale, come
si spogliò di tutti i beni terreni, affluirono per divina misericordia
copiosi doni celesti.
Pertanto
è chiaro che bastò quest’uomo a ricolmare d’innumerevoli benefici la società
religiosa e la civile. Ma siccome quel suo spirito essenzialmente cristiano
si porge a meraviglia ai bisogni di tutti i tempi e di tutti i luoghi,
non è da mettere in dubbio che le istituzioni di Francesco siano per tornare
profittevoli anche nell’età nostra. Questo, in quanto i nostri tempi si
assomigliano in molti punti a quelli di allora. La divina carità, come
nel secolo duodecimo, si è raffreddata non poco, e non è di poco conto
lo scompiglio dei doveri dei cristiani, o per ignoranza o per negligenza.
Prevalendo ora costumi e tendenze poco dissimili, molti consumano la vita
andando avidamente in cerca di comodità terrene e di sensuali piaceri.
Perdendosi nel lusso, disperdono i propri beni e agognano l’altrui; esaltando
la fratellanza universale, se ne fanno campioni più a parole che a fatti,
poiché è l’egoismo che vince, e la schietta carità verso i deboli e gli
indigenti si fa ogni giorno più rara. In quel secolo la multiforme eresia
degli Albigesi, spargendo ribellione contro il potere della Chiesa, aveva
scompigliato contemporaneamente l’ordine civile e aveva spianato la via
ad una specie di Socialismo. Oggi parimenti vanno crescendo i fautori
e i propagatori del Naturalismo, i quali rifiutano pertinacemente ogni
soggezione alla Chiesa, e di grado in grado logicamente avanzando, non
lasciano intatta neppure la potestà civile; predicano la violenza e la
rivolta popolare; vagheggiano l’abolizione della proprietà terriera; lusingano
le passioni dei proletari; scuotono le fondamenta di ogni ordinata convivenza,
sia domestica, sia civile.
In mezzo
a tanti e così gravi mali, ben comprendete, Venerabili Fratelli, come
una speranza non piccola di sollievo si possa ragionevolmente riporre
nelle istituzioni francescane, solo che vengano richiamate al vigore di
prima. Al rifiorire di esse, rifiorirebbero agevolmente la fede, la pietà
e ogni virtù cristiana; sarebbe rintuzzata la smisurata brama dei beni
di quaggiù, e non si avrebbe più in uggia quello che oggi viene considerato
dai più il maggiore e il più insopportabile dei pesi, cioè la mortificazione
delle voglie per mezzo della virtù. Stretti da fraterna concordia, gli
uomini si amerebbero scambievolmente, e nei poveri e negli afflitti rispetterebbero,
come è dovere, l’immagine di Gesù Cristo. Inoltre, coloro che sono intimamente
convinti dello spirito cristiano, sentono come obbligo di coscienza di
dover obbedire all’autorità legittima e di rispettare i diritti di chicchessia;
questa disposizione di animo è il più efficace mezzo per recidere alla
radice ogni disordine, ogni violenza, tutte le ingiustizie, il desiderio
di novità, l’odio fra i diversi ordini sociali, che sono i principali
moventi ed insieme le armi del Socialismo. Infine, anche la difficoltà
che travaglia le menti degli uomini di governo sul modo di equamente comporre
le ragioni dei ricchi e dei poveri, resta mirabilmente sciolta una volta
che sia scolpita negli animi la persuasione che la povertà non è per se
stessa spregevole: occorre che il ricco sia caritatevole e munifico; che
il povero sia rassegnato e attivo, e poiché nessuno dei due è nato per
i mutabili beni della terra, gli uni con la sofferenza, gli altri con
la liberalità si procurino di raggiungere il cielo.
Per queste
ragioni Noi da lungo tempo e vivamente desideriamo che ognuno, secondo
le proprie forze, sproni se stesso ad imitare Francesco d’Assisi. A tale
scopo, come nel passato avemmo sempre particolarmente a cuore il Terz’Ordine
dei Francescani, così ora, chiamati per somma benignità di Dio a gestire
il supremo Pontificato, approfittiamo di questa ricorrenza per esortare
i fedeli a non negare il proprio nome a questa santa milizia di Gesù Cristo.
Già in
molte parti si contano in gran numero cristiani dell’uno e dell’altro
sesso che si sono messi con animo volenteroso sulle orme del Serafico
Padre.
Lodiamo
in essi ed approviamo di gran cuore siffatto zelo, ma vorremmo che esso
aumentasse ancora e si propagasse ulteriormente soprattutto per opera
Vostra, Venerabili Fratelli. Raccomandiamo principalmente che coloro che
vestiranno i sacri segni della Penitenza tengano presente l’immagine del
Santo fondatore, e si sforzino di modellare se stessi su quella: senza
di che non sarebbe sperabile alcun bene. Pertanto studiatevi di far conoscere
e apprezzare, come merita, il Terz’Ordine; fate in modo che i pastori
di anime ne illustrino accuratamente lo spirito, la pratica facilità,
i molti favori spirituali di cui è ricco, i vantaggi che se ne attendono
per gl’individui e per la società.
E tanto
maggiormente ci si deve adoperare a questo scopo, in quanto gli affiliati
al primo e al secondo Ordine Francescano sono sbattuti presentemente da
un’indegna procella. Voglia il cielo che per la protezione del beato loro
Padre escano presto da tanta tempesta rinvigoriti e fiorenti! E voglia
il cielo altresì che le genti cristiane si rechino volonterose ed in gran
numero ad abbracciare il Terz’Ordine, come già un tempo correvano da ogni
parte ai piedi dello stesso Francesco! Questo con il massimo calore e
con il più giustificato diritto speriamo dagli Italiani i quali, per la
comunanza della terra natale e per la più larga copia dei benefìci ricevuti,
devono a Francesco maggior gratitudine e devozione. Così dopo sette secoli
il popolo Italiano e tutto il mondo cristiano si vedrebbero un’altra volta
tratti dallo scompiglio alla tranquillità, dalla rovina alla salvezza
per virtù del figlio di Assisi.
Imploriamo
concordemente questa grazia dallo stesso Francesco, principalmente in
questi giorni; imploriamola anche da Maria Vergine Madre di Dio, che di
patrocinio e di doni singolarissimi rimeritò sempre la devota pietà del
suo servo fedele.
Frattanto,
come pegno dei doni celesti e come testimonianza della Nostra singolare
benevolenza, con effusione di cuore nel Signore impartiamo a Voi, Venerabili
Fratelli, a tutto il Clero e al popolo a ciascuno affidato, l’Apostolica
Benedizione.
Dato
a Roma, presso San Pietro, il 17 settembre 1882, anno quinto del Nostro
Pontificato.