A
tutti i Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati,
Arcivescovi e Vescovi del mondo cattolico che
hanno grazia e comunione con la Sede Apostolica.
Venerabili
Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
Non appena, per arcano
consiglio di Dio, fummo, sebbene immeritevoli, innalzati al vertice dell’Apostolica
dignità, sentimmo vivissimo il desiderio e quasi il bisogno di rivolgerci
a Voi non solo per esprimervi i sensi dell’intimo Nostro affetto, ma anche
per soddisfare all’ufficio divinamente affidatoci di rafforzare Voi, che
siete chiamati a partecipare della Nostra sollecitudine, a sostenere insieme
con Noi l’odierna lotta per la Chiesa di Dio e per la salute delle anime.
Infatti fino dai primordi
del Nostro Pontificato si presenta al Nostro sguardo il triste spettacolo
dei mali che da ogni parte affliggono il genere umano: questo così universale
sovvertimento dei principi dai quali, come da fondamento, è sorretto l’ordine
sociale; la pervicacia degl’ingegni intollerante di ogni legittima autorità;
il perenne stimolo alle discordie, da cui le contese intestine e le guerre
crudeli e sanguinose; il disprezzo delle leggi che proteggono costumi
e giustizia; l’insaziabile cupidigia dei beni caduchi e la noncuranza
degli eterni, spinta fino al pazzo furore che induce così spesso tanti
infelici a darsi la morte; la improvvida amministrazione, lo sperpero,
la malversazione delle pubbliche sostanze, come pure l’impudenza di coloro
che con perfido inganno vogliono essere creduti difensori della patria,
della libertà e di ogni diritto; infine quella letale peste che serpeggia
per le più riposte fibre della società umana, la rende inquieta, e minaccia
di travolgerla in una spaventosa catastrofe.
La causa principale
di tanti mali è riposta, ne siamo convinti, nel disprezzo e nel rifiuto
di quella santa ed augustissima autorità della Chiesa, che in nome di
Dio presiede al genere umano, ed è garante e sostegno di ogni legittimo
potere. I nemici dell’ordine pubblico avendo conosciuto ciò, non ravvisarono
mezzo più acconcio per scalzare le fondamenta della società che quello
di aggredire costantemente la Chiesa di Dio, e con ingiuriose calunnie
presentarla impopolare, e odiosa, quasi si opponesse alla vera civiltà;
indebolirne ogni giorno con nuove ferite l’autorità e la forza, per abbattere
il supremo potere del Romano Pontefice, custode e vindice sulla terra
degli eterni ed immutabili principi di moralità e di giustizia. Di qua
ebbero origine le leggi contro la divina costituzione della Chiesa Cattolica,
che con immenso dolore vediamo pubblicate in molti Stati; di qua il disprezzo
dell’autorità episcopale, e gli ostacoli all’esercizio del ministero ecclesiastico;
la dispersione delle famiglie religiose, la confisca dei beni destinati
al sostentamento dei ministri della Chiesa e dei poveri; la sottrazione
dei pubblici istituti di carità e beneficenza dalla salutare direzione
della Chiesa; la sfrenata libertà del pubblico insegnamento e della stampa,
mentre in tutti i modi si calpesta e si opprime il diritto della Chiesa
all’istruzione e all’educazione della gioventù.
Né ad altro mira l’usurpazione
del civile Principato, che la divina Provvidenza ha concesso da tanti
secoli al Romano Pontefice perché potesse esercitare liberamente e senza
impaccio la potestà conferitagli da Cristo per l’eterna salute dei popoli.
Abbiamo voluto, Venerabili
Fratelli, ricordarvi questo cumulo funesto di mali, non già per aumentare
in Voi la tristezza che questa lacrimevole condizione di cose V’infonde
nell’animo, ma perché Vi sia appieno palese a quale gravissima condizione
siano condotte le cose che debbono essere l’oggetto del nostro ministero
e del nostro zelo, e con quanto impegno sia necessario adoperarci per
difendere e tutelare come possiamo la Chiesa di Cristo e la dignità di
questa Sede Apostolica, assalita specialmente in questi tempi calamitosi
con indegne calunnie.
È chiaro, Venerabili
Fratelli, che la vera civiltà manca di solide basi, se non è fondata sugli
eterni principi di verità e sulle immutabili norme della rettitudine e
della giustizia, e se una sincera carità non lega fra loro gli animi di
tutti e ne regola soavemente gli scambievoli uffici. Ora, chi oserà negare
essere la Chiesa quella che, diffuso fra le nazioni il Vangelo, portò
la luce della verità in mezzo a popoli barbari e superstiziosi, e li mosse
alla conoscenza del divino Creatore e alla considerazione di se stessi;
che abolendo la schiavitù richiamò l’uomo alla nobiltà primitiva di sua
natura; che spiegato in ogni angolo della terra il vessillo della redenzione,
introdotte o protette le scienze e le arti, fondati e presi in sua tutela
gl’istituti di carità destinati al sollievo di qualunque miseria, ingentilì
il genere umano nella società e nella famiglia, lo sollevò dallo squallore,
e con ogni diligenza lo foggiò conforme alla dignità e ai destini della
sua natura? Se un confronto si facesse fra l’età presente, decisamente
nemica della religione e della Chiesa di Cristo, e quei fortunatissimi
tempi nei quali la Chiesa era venerata come madre, si scorgerebbe con
evidenza che l’età nostra, tutta sconvolgimenti e rovine, corre dritta
al precipizio, e che al contrario quei tempi tanto più fiorirono per ottime
istituzioni, per vita tranquilla, ricchezze e ogni bene, quanto più i
popoli si mostrarono ossequienti al governo e alle leggi della Chiesa.
Pertanto se i moltissimi beni, che testé ricordammo come derivati dal
ministero e dal benefico influsso della Chiesa, sono opere e splendore
di vera civiltà, tanto è lungi dalla Chiesa il volerla schivare od osteggiare,
ché anzi a buon diritto se ne vanta nutrice, maestra e madre.
Anzi, una civiltà
che si trovasse in contrasto con le sante dottrine e le leggi della Chiesa,
della civiltà non avrebbe che l’apparenza e il nome. Ne sono manifesta
prova quei popoli cui non rifulse la luce del Vangelo, presso i quali
poté talvolta ammirarsi una esteriore lustra di civiltà, ma giammai i
veraci ed inestimabili suoi beni.
No, non è perfezionamento
civile lo sfacciato disprezzo d’ogni legittimo potere; non è libertà quella
che attraverso modi disonesti e deplorevoli si fa strada con la sfrenata
diffusione degli errori, con lo sfogo di ogni rea cupidigia, con l’impunità
dei delitti e delle scelleratezze, con l’oppressione dei migliori cittadini.
Essendo tali cose false, inique ed assurde, non possono certamente condurre
l’umana famiglia a perfetto stato e a prospera fortuna, perché "il
peccato immiserisce i popoli" (Pr 14,34): ne consegue che, avendoli
corrotti nella mente e nel cuore, con il loro peso li trascinano a rovina,
sconvolgono ogni ordine ben costituito, e così, presto o tardi, conducono
a gravissimo rischio la condizione e la tranquillità della pubblica cosa.
Qualora poi si volga
lo sguardo alle opere del Pontificato Romano, qual cosa può esservi di
più iniquo che il negare quanto bene i Pontefici Romani abbiano meritato
di tutta la società civile? Certamente i Nostri Predecessori, al fine
di procacciare il bene dei popoli, non esitarono ad intraprendere lotte
di ogni genere, sostenere gravi fatiche, affrontare spinose difficoltà;
e con gli occhi fissi al cielo, non curvarono mai la fronte alle minacce
degli empi, né vollero con degeneri consensi tradire per lusinghe e promesse
la loro missione. Fu questa Sede Apostolica che raccolse e cementò gli
avanzi della vecchia società cadente; fu essa la benigna fiaccola che
fece risplendere la civiltà dei tempi cristiani; fu essa, l’ancora di
salvezza tra le fierissime tempeste che sbatterono l’umanità; il sacro
vincolo di concordia che strinse fra loro nazioni lontane e diverse per
costumi; fu infine il centro comune di religione e di fede, di azione
e di pace. Che più? È vanto dei Pontefici Massimi l’essersi costantemente
opposti quale muro e baluardo, perché la società umana non ricadesse nella
superstizione e nell’antica barbarie.
Oh, se questa così
salutare autorità non fosse stata mai disprezzata e ripudiata! Sicuramente
il Principato civile non avrebbe perduto quel carattere solenne e sacro
che la Religione gli aveva impresso, e che all’uomo sembra la sola condizione
degna e nobile perché ubbidisca; né sarebbero scoppiate tante sedizioni
e tante guerre a riempire di calamità e di stragi la terra; né regni,
una volta floridissimi, sarebbero precipitati dal sommo della grandezza
al fondo, sotto il peso di tante sciagure. Ne abbiamo l’esempio anche
nei popoli di Oriente: rotti i soavi legami che li stringevano a questa
Sede, perdettero lo splendore dell’antica grandezza, il prestigio delle
scienze e delle arti, e la dignità dell’impero.
Benefìci tanto insigni,
che derivarono dalla Sede Apostolica ad ogni parte della terra, come attestano
illustri monumenti di ogni età, furono specialmente sentiti da questa
regione Italiana, la quale essendo più vicina ad essa per condizione di
luogo, ne colse più ubertosi frutti. Sì, l’Italia in gran parte va debitrice
ai Romani Pontefici della sua vera gloria e grandezza, per le quali si
levò al disopra delle altre nazioni. La loro autorità e la loro sollecitudine
paterna più volte la protessero dagli assalti nemici, e le porsero sollievo
ed aiuto perché la fede cattolica si mantenesse sempre incorrotta nel
cuore degli Italiani.
Per tacere dei meriti
degli altri Nostri Predecessori, citiamo particolarmente i tempi di San
Leone Magno, di Alessandro III, di Innocenzo III, di San Pio V, di Leone
X e di altri Pontefici, nei quali per opera o protezione di quei sommi,
l’Italia scampò alla suprema rovina minacciatale dai barbari, salvò incorrotta
l’antica sua fede, e tra le tenebre e lo squallore di un’epoca decadente
nutrì e conservò vivo il fuoco delle scienze e lo splendore delle arti.
Lo attesta questa Nostra alma Città, sede dei Pontefici, la quale trasse
da essi tale singolarissimo vantaggio da divenire non solo rocca inespugnabile
della fede, ma anche asilo delle belle arti, domicilio di sapienza, meraviglia
e modello di tutto il mondo. Ricordato lo splendore di queste cose, affidato
ad imperituri monumenti, si comprende facilmente che solo per astio e
per indegna calunnia, al fine d’ingannare le moltitudini, si poté a voce
e per iscritto insinuare che la Sede Apostolica sia un ostacolo alla civiltà
dei popoli e alla felicità dell’Italia.
Quindi se le speranze
dell’Italia e del mondo sono tutte riposte nella benefica influenza della
Sede Apostolica, a comune vantaggio e nella unione intima di tutti i fedeli
con il Romano Pontefice, ragione vuole che Noi Ci adoperiamo con la cura
più solerte a conservare intatta la dignità della Cattedra Romana, e a
rafforzare sempre più l’unione delle membra col Capo, dei figli col Padre.
Pertanto a tutelare
innanzi tutto, nel miglior modo che Ci è dato, i diritti e la libertà
della Santa Sede, non cesseremo mai di esigere che la Nostra autorità
sia rispettata, che il Nostro ministero e la Nostra potestà siano pienamente
liberi e indipendenti, e Ci sia restituita la posizione nella quale la
Sapienza divina da gran tempo aveva collocato i Pontefici Romani.
Non è per vano desiderio
di signoria o di dominio che Ci muoviamo, Venerabili Fratelli, per questa
restituzione; Noi la reclamiamo perché lo esigono i Nostri doveri e i
solenni giuramenti da Noi prestati; e perché non solo il Principato è
necessario alla tutela e alla conservazione della piena libertà del potere
spirituale, ma anche perché risulta evidente che quando si tratta del
Dominio temporale della Sede Apostolica, si tratta altresì del bene e
della salvezza di tutta l’umana famiglia. Quindi Noi, per ragione dell’ufficio
che Ci impegna a difendere i diritti di Santa Chiesa, non possiamo affatto
dispensarci dal rinnovare e confermare con questa Nostra lettera tutte
le dichiarazioni e le proteste che il Nostro Predecessore Pio IX di santa
memoria fece ripetutamente, sia contro l’occupazione del Principato civile,
sia contro la violazione dei diritti della Chiesa Romana. Contemporaneamente
Ci rivolgiamo ai Principi e ai supremi Reggitori dei popoli scongiurandoli,
nel nome augusto dell’Altissimo Iddio, a non voler rifiutare in momenti
così perigliosi il sostegno che loro offre la Chiesa; e ad unirsi concordi
e volonterosi intorno a questa fonte di autorità e di salute, e a stringere
vieppiù con essa intimi rapporti di rispetto e di amore. Faccia Iddio
che essi, convinti di queste verità, e riflettendo che la dottrina di
Cristo, come diceva Agostino, "se viene seguita, è sommamente salutare
alla Repubblica" , e che nella incolumità e nell’ossequio alla Chiesa
sono riposte anche la pubblica pace e la prosperità, rivolgano tutte le
loro cure e i loro pensieri a migliorare le sorti della Chiesa e del visibile
suo Capo, preparando in tal modo ai loro popoli, avviati per il sentiero
della giustizia e della pace, una felice era di prosperità e di gloria.
Affinché poi ogni
giorno più si faccia salda l’unione del gregge cattolico col Supremo Pastore,
ora Ci rivolgiamo, con affetto tutto speciale, a Voi, Venerabili Fratelli,
impegnando il Vostro zelo sacerdotale e la Vostra pastorale sollecitudine,
affinché destiate nei fedeli a Voi affidati il santo fuoco di Religione
che li muova a stringersi più fortemente a questa Cattedra di verità e
di giustizia, a riceverne con sincera docilità di mente e di cuore tutte
le dottrine, e a rigettare interamente le opinioni, anche le più diffuse,
che conoscono essere contrarie agl’insegnamenti della Chiesa. A questo
proposito i Romani Pontefici Nostri Predecessori, e da ultimo Pio IX di
santa memoria specialmente nel Concilio Vaticano, avendo dinanzi agli
occhi le parole di Paolo: "Badate che qualcuno non vi seduca per
mezzo di filosofia inutile ed ingannatrice, secondo la tradizione degli
uomini, secondo i principi del mondo, e non secondo Cristo" (Col
2,8), non omisero di condannare, quando fu necessario, gli errori correnti,
e di colpirli con l’Apostolica censura. E Noi, sulle orme dei Nostri Predecessori,
da questa Apostolica Cattedra di verità confermiamo e rinnoviamo tutte
queste condanne; e nel tempo stesso insistentemente preghiamo il Padre
dei lumi che tutti i fedeli, con un solo animo e con una sola mente, pensino
e parlino come Noi. Spetta però a Voi, Venerabili Fratelli, di adoperarvi
a tutt’uomo affinché il seme delle celesti dottrine sia con larga mano
sparso nel campo del Signore, e fino dai teneri anni s’infondano nell’animo
dei fedeli gl’insegnamenti della fede cattolica, vi gettino profonde radici,
e siano preservati dal contagio dell’errore. Quanto più i nemici della
religione si affannano ad insegnare agli ignoranti, e specialmente alla
gioventù, dottrine che offuscano la mente e guastano il cuore, tanto maggiore
deve essere l’impegno, perché non solo il metodo d’insegnamento sia ragionevole
e serio, ma molto più perché lo stesso insegnamento sia sano e pienamente
conforme alla fede cattolica, vuoi nelle lettere, vuoi nelle scienze,
ma in modo particolare nella filosofia, dalla quale dipende in gran parte
il buon andamento delle altre scienze, e che non deve mirare ad abbattere
la divina rivelazione, ma anzi a spianarle la via, a difenderla da chi
la combatte, come ci hanno insegnato con l’esempio e con gli scritti il
grande Agostino, l’Angelico Dottore, e gli altri maestri di sapienza cristiana.
Ma la buona educazione
della gioventù, perché valga a tutelarne la fede, la religione ed i costumi,
deve incominciare fin dagli anni più teneri nella stessa famiglia, la
quale ai giorni nostri è miseramente sconvolta e non può essere restituita
alla sua dignità se non si assoggetta alle leggi con cui fu istituita
nella Chiesa dal suo divino Autore. Il quale, avendo elevato alla dignità
di Sacramento il matrimonio, simbolo della unione sua con la Chiesa, non
solo santificò il nuziale contratto, ma apprestò altresì ai genitori e
ai figli efficacissimi aiuti per conseguire più facilmente, nell’adempimento
dei vicendevoli uffici, la felicità temporale e quella eterna. Ma poiché
leggi inique, disconosciuto il carattere religioso del Sacramento, lo
ridussero alla condizione di un contratto puramente civile, ne derivò
che, avvilita la nobiltà del cristiano connubio, i coniugi vivano invece
in un legale concubinato, che non curino la fedeltà scambievolmente giurata,
che i figli ricusino ai genitori l’obbedienza e il rispetto, s’indeboliscano
gli affetti domestici e – quel che è di pessimo esempio e assai dannoso
per il pubblico costume – che spessissimo ad un pazzo amore tengano dietro
lamentevoli e funeste separazioni. Disordini tanto deplorevoli e gravi
debbono, Venerabili Fratelli, eccitare il Vostro zelo ad ammonire con
premurosa insistenza i fedeli affidati alle Vostre cure, affinché prestino
docile orecchio agl’insegnamenti che toccano la santità del matrimonio
cristiano, obbediscano alle leggi con cui la Chiesa regola i doveri dei
coniugi e della loro prole.
Si otterrà con ciò
anche un altro effetto desideratissimo, cioè il miglioramento e la riforma
degli individui, poiché come da un tronco viziato derivano rami peggiori
e frutti malaugurati, così la corruzione che contamina le famiglie giunge
ad ammorbare e ad infettare anche i singoli cittadini. Al contrario, in
una famiglia ordinata a vita cristiana, le singole membra pian piano si
avvezzeranno ad amare la religione e la pietà, ad aborrire le false e
perniciose dottrine, a seguire la virtù, a rispettare i superiori e a
frenare quel sentimento di egoismo che tanto degrada e snerva la natura
umana. A tal fine molto gioverà regolare e incoraggiare le pie associazioni,
che principalmente ai giorni nostri, con grandissimo vantaggio degl’interessi
cattolici, sono state fondate.
Grandi e superiori
alle forze dell’uomo, Venerabili Fratelli, sono queste cose, oggetto delle
Nostre speranze e dei Nostri voti: ma avendo Iddio fatte sanabili le nazioni
della terra, e avendo istituito la Chiesa per la salvezza delle genti,
promettendole la propria assistenza fino alla consumazione dei secoli,
abbiamo ferma speranza che, grazie alle Vostre fatiche, l’umanità, ammaestrata
da tanti mali e da tante sciagure, finalmente verrà a chiedere salute
e felicità alla Chiesa, e all’infallibile magistero della Cattedra Apostolica.
Intanto, Venerabili
Fratelli, non possiamo porre termine allo scrivere senza manifestare la
gioia che proviamo per la mirabile unione e concordia che legano gli animi
Vostri fra loro e con questa Sede Apostolica. Riteniamo che esse non solo
siano il più forte baluardo contro gli assalti dei nemici, ma anche fausto
e lietissimo augurio di migliore avvenire per la Chiesa. Mentre tutto
questo è d’indicibile conforto alla Nostra debolezza, Ci dà pure coraggio
a sostenere virilmente, nell’arduo ufficio che abbiamo assunto, ogni lotta
a vantaggio della Chiesa.
Dai motivi di speranza
e di gaudio che Vi abbiamo manifestati, non possiamo separare le dimostrazioni
di amore e di riverenza che in questo inizio del Nostro Pontificato Voi,
Venerabili Fratelli, e insieme con Voi diedero alla Nostra umile persona
moltissimi sacerdoti e laici, i quali con lettere, con offerte, con pellegrinaggi
e con altre pie attestazioni Ci fecero palese che l’affetto e la devozione
portati al Nostro degnissimo Predecessore durano nei loro cuori egualmente
saldi, stabili ed interi per la persona di un Successore tanto disuguale.
Per questi splendidissimi attestati di cattolica pietà, umilmente diamo
lode al Signore per la sua benigna clemenza; e a Voi, Venerabili Fratelli,
e a tutti i diletti Figli da cui li ricevemmo, professiamo dall’intimo
del cuore e pubblicamente i sensi della Nostra vivissima gratitudine,
pienamente fiduciosi che in questa angustia di cose e difficoltà di tempi
non Ci verranno mai meno la devozione e l’affetto Vostro e di tutti i
fedeli. Né dubitiamo che questi splendidi esempi di filiale pietà e di
cristiana virtù varranno moltissimo per muovere il cuore del clementissimo
Dio a riguardare propizio il suo gregge e a dare alla Chiesa pace e vittoria.
E poiché speriamo che Ci siano più presto e più facilmente concesse questa
pace e questa vittoria se i fedeli esprimeranno costantemente i loro voti
e le loro preghiere per ottenerle, Vi esortiamo, Venerabili Fratelli,
ad impegnarli e ad infervorarli a tal fine, invocando quale mediatrice
presso Dio l’Immacolata Regina dei Cieli, e per intercessori San Giuseppe,
Patrono celeste della Chiesa, i Santi Principi degli Apostoli Pietro e
Paolo, al potente patrocinio dei quali raccomandiamo supplichevoli l’umile
Nostra persona, tutta la gerarchia della Chiesa e tutto il gregge del
Signore.
Del resto vivamente
desideriamo che questi giorni, nei quali solennemente ricordiamo la risurrezione
di Gesù Cristo, siano per Voi, Venerabili Fratelli, e per tutta la famiglia
cattolica, felici, salutari e pieni di santa allegrezza; e preghiamo il
benignissimo Dio che col sangue dell’Agnello immacolato, con cui fu cancellato
il chirografo della nostra condanna, siano lavate le colpe contratte,
e sia benignamente mitigato il giudizio a cui per quelle sottostiamo.
"La grazia del Signore Nostro Gesù Cristo, la carità di Dio, e la
partecipazione dello Spirito Santo siano con tutti Voi", Venerabili
Fratelli, ai quali tutti e singoli, come pure ai diletti Figli, clero
e popolo delle Vostre Chiese, in pegno di speciale benevolenza e quale
augurio del celeste aiuto impartiamo con tutto l’affetto l’Apostolica
Benedizione.
Dato
a Roma, presso San Pietro, nel giorno solenne di Pasqua, il 21 aprile
1878, anno primo del Nostro Pontificato.